L’ARTE RISPONDE AL COVID
In questo momento di incertezza e di crisi della cultura dove musei, teatri, cinema e biblioteche sono chiusi o vedono contingentarsi gli ingressi mentre eventi artistici e culturali continuano a cancellarsi nelle programmazioni in tutti i calendari regionali e nazionali, Cristiano e Patrizio Alviti reagiscono portando una mostra in città.
LA STORIA
Tutto è iniziato a dicembre 2019 quando Patrizio Alviti ha regalato a Cristiano Alviti, suo fratello, un libro di disegni fatti da lui. Lo fa ogni anno ma questa volta, invece di disegni e collage, c’erano dei disegni acquarellati con sopra delle stampe realizzate con l’adigraf.
Le stampe erano prevalentemente di boschi, paesaggi e qualche donna . E la sovrapposizione tra le stampe piatte e un po’ sgranate era così sorprendente che Cristiano ha pensato di realizzarne in un formato grande, molto grande .
La cosa più bella di tutte era il non percepire i confini tra il disegno fatto con la mano e le stampe.
Tutto si sovrapponeva e si mischiava anche se fatto in passaggi successivi su diversi livelli , uno sull’altro tutti insieme: segni razionali e slanci emotivi con la volontà di relegare su uno spazio piano l’emozione provata. Emozione che arriva in modo pura, forte, pulita ma con un linguaggio completamente sporco e apparentemente sregolato che non rispetta mai interamente i canoni accademici di nessuna tecnica pur usandone gli impianti teorici, casomai semplificati a un livello direi quasi fanciullesco. Cristiano, per ricambiare, decide di costruire un torchio per incidere lastre di ferro lunghe fino a tre metri.
Il loro vecchio torchio per stampare le incisioni monotipo poteva fare massimo delle stampe di 1 m per 50cm e già con fatica, così ha pensato di unire la passione per il design del ferro alla tecnica dell’incisione costruendo un oggetto che fosse al contempo funzionale alle esigenze che cercavano ma anche di grande fascino alla vista, retaggio antico come la tradizione della stampa. Insomma una cosa che fosse meravigliosa e divertente da usare al tempo stesso.
Le incisioni invece di utilizzare le tradizionali lastre di zinco o di rame con l’acido per la morsura vengono realizzate con delle lastre di ferro su cui i solchi sono fatti con una scriccatura operata dal plasma.
Questa tecnica si è poi rivelata eccezionale perché oltre a togliere materia dalla lastra per creare i solchi per l’inchiostro, riportava metallo fuso in superficie, creando così delle croste che venivano fuori dal piano stesso. Il torchio è stato costruito per poter sopportare delle lastre di dimensioni notevoli che arrivano a 6 metri per uno, la lastra potrebbe arrivare a pesare anche 300 kg . Il lavoro di costruzione è esilarante: le componenti che utilizzano per montarlo provengono anche dal mondo dell’automotive e la sua struttura è imponente . Il torchio occupa lo spazio di 6 mt x 2 mt.
Finita la realizzazione del torchio , siamo a gennaio /febbraio, comincia il periodo Covid.19. Il lockdown del 4 marzo è alle porte ma il mondo, soprattutto quello umano, chiude le porte ai sogni ed alle vedute di largo orizzonte: c’è paura e si intravede la paralisi sociale ed economica che arriverà presto ed inevitabile. Eppure Cristiano e Patrizio, che sono anche artigiani, hanno una via d’uscita “ufficiale” (la manutenzione del laboratorio per chi dovesse fermarli durante il tragitto in macchina da Roma ad Ariccia ) ed una via d’uscita “emozionale” (l’arte).
Così, proprio mentre il mondo guarda dalle finestre il tempo che scorre senza osare immaginarsi il dopo, Cristiano e Patrizio danno vita a lastre di paesaggi. Il paesaggio ricostruito, che parte dalla natura e dagli alberi, è quello ricostruito attraverso la realtà (il segno che incide le lastre) e quello dell’emozione (il ricordo e le sensazioni che il paesaggio suscita così come filtrate dalla sensibilità degli Alviti).
Il filtro che rende visibile tale commistione è il colore : quegli inchiostri e quei liquidi che si perdono sulla lastra rincorrendosi e miscelandosi, così imprevedibili ed espressivamente liberi di muoversi, di evadere e di “uscire” dal segno.
Il risultato è una carta inchiostrata dove è possibile scorgere la luce, una conversazione, l’aria, la vita vissuta, i particolari, gli scorci, la prospettiva tra gli alberi e l’infinita potenza della natura. Questo ha dato loro modo di poter lavorare con un doppio linguaggio ossia di poter realizzare anche una stampa a secco insieme alla acquarellatura e alla scrittura dei solchi, rendendo così ancora più complesso è spurio il procedimento grafico di stampa.
Si arriva, così, al nocciolo fondamentale della collezione: ad un segno razionale, anche se pur sempre artistico, inciso sulla lastra che è sempre la stessa si sovrappone in un gioco di pieni e vuoti una acquarellatura di volta in volta diversa che segue l’emozione del momento.
Quella emozione che i due fratelli provano e che cercano di trasferire durante la realizzazione, esattamente nel momento in cui i due linguaggi si intrecciano sovrapponendosi sulla lastra complicati dalle varie sbavature e da tutte le ingerenze della circostanza.
Così i due pensieri si intrecciano sulla carta stampata : una parte razionale ed una parte irrazionale sovrapponendosi e dandosi visibilità reciproca lasciando a chi guarda l’obero di seguire ciò che sente maggiormente ma soprattutto libero di seguire le emozioni del momento. Questo vuol dire che lo stesso paesaggio a seconda degli occhi e dello stato d’animo con cui si guarda appare diverso di volta in volta, anche dal ricordo che si è conservato. È come se la nostra vita fosse concepita in modo differenziale, come la somma di istanti diversi non solo temporali ma anche emotivi però tutta intorno ad una realtà fisica contingente e materiale.
Che potrebbe essere anche sempre la stessa se uno la guarda sempre con gli stessi occhi, sempre con gli stessi pensieri.
L’esortazione che fanno questi lavori ci dice di fruire del momento guardandolo anche con occhi diversi, anche da un altro punto di vista per capire le potenzialità che girano attorno a quello che abbiamo davanti agli occhi e che noi stessi siamo in grado di generare.
È l’esercizio della volontà che quindi fa la differenza. Quella stessa volontà che ci siamo trovati tutti costretti ad usare nel periodo di chiusura dovuti dovuto al COVID.
La differenza tra una cosa esistente o meno.
La possibilità che potesse rimanere solo un pensiero o prendesse una forma fisica diventando un progetto condivisibile con gli altri .
(perché la condivisione è stata sottratta dal virus per tutti noi)
E’ stata solo la volontà che avevano Cristiano e Patrizio durante la chiusura. Come unico strumento la loro volontà, di ferro come il torchio ma estremamente labile e deperibile come i fogli di carta.
La volontà di ferro è la stessa che utilizzano nella loro vita da quando hanno iniziato a fare questo lavoro è quella che contraddistingue le persone che costruiscono da quelle che consumano ed è la misura con la quale noi valutiamo la realtà.
La mostra è il diario di una quarantena.
La mostra è la prepotente supremazia della volontà di vivere sulla nefasta prospettiva della morte (economica e sociale).